La bicicletta a pedalata assistita fa parlare di sé da almeno una cinquina di anni, sebbene la sua introduzione sul mercato sia ben più datata. Oggi la e-bike è sinonimo di modernità e di mobilità sostenibile, indicata come il mezzo del futuro perché virtuosa, efficiente e rispettosa dell’ambiente. Eppure, per quanto sia difficile da immaginare, il primo prototipo di bici elettrica risale a un’epoca ben distante dalla nostra.
I primi velocipedi… e i primi esperimenti
Sin da quando il mercato iniziò a presentare i primi modelli di velocipedi, menti innovative e sregolate cercarono di abbinarvi la trazione motrice di un motore. Durante l’epoca ottocentesca la società attraversava la Seconda Rivoluzione Industriale, erano gli anni della motorizzazione dei trasporti, le biciclette, soprattutto nelle realtà più avanzate, divennero da subito appannaggio dei meno facoltosi. Fin da subito, iniziarono le sperimentazioni volte ad abbinare ai velocipedi un motore a vapore che sostenesse il movimento.
LEGGI ANCHE: La e-bike è il veicolo elettrico più venduto al mondo!
Nel 1859, il fisico italiano Antonio Pacinotti presentò al mondo il suo generatore dinamo-elettrico di corrente continua reversibile, più comunemente conosciuto come dinamo, che funzionava come un vero e proprio motore elettrico (l’anello di Pacinotti). L’invenzione del ricercatore pisano fu la base da cui si svilupparono i successivi studi nel settore, sebbene nel corso degli anni a cavallo tra XIX e XX secolo furono molti a fallire. Il vero ostacolo, ai tempi, era rappresentato dalla batteria: troppo complicato costruire un accumulatore sufficientemente leggero e maneggevole da essere installato sul velocipede.
Il primo triciclo elettrico
Esiste una data di esordio di un mezzo elettrico sulle strade cittadine: si tratta del 19 aprile 1881. In quel giorno, il pionieristico ingegnere francese Gustave Trouvé percorse la Rue Valois, nel centro di Parigi, a bordo di un triciclo alimentato da un piccolo motore elettrico, perfezionato dallo stesso inventore transalpino sulla base dei lavori dei fratelli Siemens. Nonostante l’intuizione geniale, Trouvé non riuscì ad ottenere il brevetto della sua opera.
Le innovazioni del ‘900
Occorre attendere oltre 50 anni per rilevare un’altra innovazione nel campo degna di nota. Nel 1946, il mercato conobbe la Spacelander, invenzione dell’ingegnere e designer Benjamin Bowden che, tuttavia, si rivelò un flop commerciale (e oggi è un pezzo pregiato ambito dai collezionisti del settore). Il mezzo sviluppato dal progettista britannico prevedeva l’integrazione in un’unica componente di motore e batteria, alimentata dall’energia che l’oggetto era in grado di accumulare in fase di discesa.
LEGGI ANCHE: Bici elettriche Green moving: artigianalità e avanguardia
Ma le difficoltà dovute all’ingombro della batteria furono parzialmente risolte soltanto a fine secolo, con l’introduzione di accumulatori in nichel-cadmio. Il Giappone fu la nazione di riferimento nella sperimentazione elettrica applicata alla bici e, a seguito di diverse ricerche condotte nel corso di tutti gli anni ‘80, nel 1989 fu la scuderia Yamaha a introdurre il primo vero e proprio pedelec, commercializzato a partire dal 1994. In Italia i primi mezzi a pedalata assistita giunsero da lì a due anni, introdotti dalla Aprilia con il suo modello Enjoy e dalla Piaggio con il prototipo Albatros. Il mondo aveva imparato a conoscere la bicicletta a pedalata assistita.

